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Venezia 2023. GLI OCEANI SONO I VERI CONTINENTI di Tommaso Santambrogio (recensione). All’ombra di Lav Diaz

Gli oceani sono i veri continenti di Tommaso Santambrogio. Giornate degli Autori. Voto 7
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Tra i film migliori di questi primi giorni di Venezia ce n’è uno che non ho visto a Venezia, ma qualche giorno prima a Milano in quelle che si chiamanoi proiezioni di cortesia per la stampa. Parlo di Gli oceani sono i veri continenti, una discreta sorpresa arrivata da un milanese alquanto giramondo di anni 31, Tommaso Santambrogio, che già si era fatto valere con un suo corto sempre a Milano al Festival del cinema africano, d’Asia e America latina, corto di cui questo suo primo lungometraggio è l’estensione, la dilatazione in durata, densità di racconto, spazio. Santambrogio ha collaborato con Lav Diaz pare a Cuba e l’impronta del gran filippino la si vede, eccome, in questo film il cui titolo è tratto da un componimento poetico di non riordo quale autore latinoamericano. Il ricalco di Diaz (di cui si è appena visto a Locarno un nuovo film che non molto aggiunge alla sua gloria) è evidente nel formato schermico utilizzato, nella fotografia in bianco e nero, nella messa in quadro e nella messa in scena, nella predilezione per gli scenari di natura tropicale dove ti pare di sentire la pioggia l’afa opprimente la calura umida la violenza degli uragani, nell’amore per le rovine e gli edifici slabbrati, corrosi dal clima dal tempo dall’incuria degli umani. Avendo ormai vistio del regista filippino almeno dodici film sono rimasto folgorato da come la prima sequenza di Santambrogio lor rievocasse, quasi in una sorta di seduta medianica o rito sciamanico: due attori, che scopriremo di lì apoco essere una coppia anche fuori scena, danno vita a una performance sulle acque di una fiume di tipo etno-mistico-tropicalista, con Cristo-Guevara ferito, dilaniato, martirizzato che si allonana lentamente da una sua devota, mentre sulla riva assiste, fisata in un tableau vivant, una folla che, più che di spettatori, sembra di fedeli. Inzio folgorante, con un ritualità che ci riconduce oltre che a Diaz a certo cinema latinomericano degli anni Sessanta-Settanta, Glauber Rocha in testa. E allora si caisce che Gli oceani sono i veri continenti non sarà un film qualsiasi. Capiremo man mano la sua struttura, la sua forma cinema, trattasi di una film di finzione che bordeggia il cinemadel reale, in un’ambiguità e ibridazione assai contemporanee. Perché le storie che ci passano davanti agli occhi sono vere o, meglio, sono ricostruite e modellate dal regista su storie vissute da coloro che adesso le interpretano. Siamo a Cuba, dove Santambrogio ha vissuto e lavorato a lungo, siamo in una piccola città lontana da l’Avana. Tre le linee narative che si allternano per poi, come in tanto Inarritu-Ariaga degli anni belli, collidere a un certo punto e in uncerto luogo. Ma linee autonome, tutt’al più connesse da sotterranei legami che possiamo solo intuire. Ci sono Edith e Alex, i due performer che abbiamo visti0 nella prima scena, lei di radici italiane che adesso in Italia vorrebbe andare a vivere e lavorare, lui cubano e legatissimo alla sua terra che mai vorrebbe andarsene. Differenti obiettivi esistenziali che infatti influiranno sulla loro storia. Ci sono due bambini, Frank e Alain, molto amici, entrambi appassionati di baseball e col sogno di partire un girno per gli Usa a giocare negli Yankees, ma solo uo di loro lascerà Cuba per l’America. E c’è Milagros, sola, anziana, venditrice di dolcetti fuori dai cinema, che continua a vivere nel ricordo del marito mai più tornato dalla guerra in Angola, dove il lider maximo Castro volle mandare negli anni 80 una forza militare cubana a sostegno dei rivoluzionari. La narrativa c’è, certo meno evanescente del maestro Lav Diaz, ma resta fragile e qua e là latitante: Si procede per ellissi, a Santambrogio non ineterssa lo sviluppo lineare delle storie, piuttosto la loro frantumazioni in corpuscoli, in sequenze molecolari quasi autonome dove risaltano gli splendori della Cuba coloniale e decadente, la potenza della natura, gli sfondi urbani magnificamente rovinati (una delle sequenze pià belle è quella nel cinema distrutto, con i film che ormai esistono solo nel ricordo e nella rievocazione che ne fa Alex). Non ci sono però di Lav Diaz le estensioni temporali impossibili, i titanici, interminabili piani sequenza, la riduzione della vita schermica a rituale ossessivo. Questo film è già molto e Santambrogio già più di una promessa. Deve solo uscire dall’ombra proiettata dai maestri e andare con decisione per conto suo.

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